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250 ATTO SOLO

Barone. Sì, signore, sono qui venuto per voi.

Conte. Ed in che vi posso servire?

Barone. Desidero che mi diciate per qual ragione vi siete partito da Milano, senza ch’io abbia avuto l’onor di saperlo.

Conte. Siccome non abbiamo insieme verun interesse, io non mi sono creduto min debito di parteciparvi la mia partenza.

Barone. Farmi che a ciò vi dovesse obbligare il buon costume, l’amicizia, la convenienza.

Conte. Circa al buon costume, io credo di non averlo da imparare da voi. Se mi parlate dell’amicizia, vi dirò ch’io soglio usarla e misurarla secondo le circostanze; e rispetto alla convenienza, avrei largo campo da giustificarmi, se il rispetto ch’io porto alla vostra casa, non mi costringesse a tacere.

Barone. Signore, voi tacendo mi spiacete assai più di quel che possiate fare parlando.

Conte. Quand’è così adunque, parlerò per ispiacervi meno. Dite, di grazia, sapete voi che la mia figliuola è promessa in isposa ad un cavaliere piemontese?

Barone. Lo so benissimo. Ma so altresì, ch’ella non consente sposarlo, senza prima conoscerlo.

Conte. Siete voi persuaso, che una figliuola sia padrona di dirlo, quando il di lei padre ha sottoscritto un contratto?

Barone. Io non credo che un padre abbia l’autorità di sagrificare una figlia.

Conte. Come potete voi dire, che ella sia con queste nozze sagrificata?

Barone. E come potete voi assicurarvi, che ella ne sia contenta?

Conte. Per assicurarmi di ciò, la conduco meco a Torino.

Barone. Bene, io non vi condanno per questo. Ma perchè non dirlo agli amici vostri?

Conte. Tutti i miei amici sono stati di ciò avvertiti.

Barone. Io dunque non sono da voi onorato della vostra amicizia.

Conte. Signor Barone, facciamo a parlar chiaro. L’amicizia che dite d’avere per me, non deriva da un sincero attaccamento alla mia persona, ma dall’amore che avete per mia figliuola,