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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1915, XX.djvu/447

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IL VENTAGLIO 435

Conte. È una donna che ha degli affari assai. Saranno viglietti arrivati allora di fresco.

Barone. No, erano biglietti vecchi. Ci scometto ch’è qualche cosa che ha trovato o sul tavolino, o indosso della signora Candida.

Conte. Siete curioso, collega mio, siete caro, siete particolare. Cosa vi andate voi immaginando?

Barone. M’immagino quel che potrebbe essere. Ho sospetto che vi sia dell’intelligenza fra la signora Candida ed Evaristo.

Conte. Oh, non vi è dubbio. Se fosse così, lo saprei. Io so tutto. Non si fa niente nel villaggio che io non sappia. E poi, se fosse quello che dite voi, credete ch’ella avrebbe acconsentito alla vostra proposizione? Ch’ella avrebbe ardito di compromettere la mediazione di un cavaliere della mia sorte?

Barone. Questa è una buona ragione. Ella ha detto di sì senza farsi pregare. Ma la signora Geltruda, dopo la lettura di quei viglietti, non mi ha fatte più le gentilezze di prima, anzi in certo modo ha mostrato piacere che ce ne andiamo.

Conte. Vi dirò. Tutto quello di cui ci possiamo dolere della signora Geltruda si è, ch’ella non ci abbia proposto di restar a pranzo da lei.

Barone. Per questo non mi fa spezie.

Conte. Le ho dato io qualche tocco, ma ha mostrato di non intendere.

Barone. Vi assicuro ch’ella aveva gran volontà che le si levasse L’incomodo.

Conte. Mi dispiace per voi... dove pranzate oggi?

Barone. Ho ordinato all’oste il desinare per due.

Conte. Per due?

Barone. Aspetto Evaristo ch’è andato alla caccia.

Conte. Se volete venire a pranzo da me...

Barone. Da voi?

Conte. Ma il mio palazzo è mezzo miglio lontano.

Barone. Vi ringrazio, perchè il pranzo è di già ordinato. Ehi dall’osteria. Coronato.