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IL VENTAGLIO 455

Conte. Servitor suo. (leggendo e ridendo)

Evaristo. Permette ch’io possa dirle una parola?

Conte. Or ora son da voi. (come sopra)

Evaristo. (Se non ha il ventaglio in mano, io non so come introdurmi a parlare).

Conte. (Si alza ridendo, mette via il libro e s’avanza) Eccomi qui. Cosa posso fare per servirvi?

Evaristo. Perdonate se vi ho disturbato. (osservando se vede il ventaglio)

Conte. Niente, niente, finirò la mia favola un’altra volta.

Evaristo. Non vorrei che mi accusaste di troppo ardito.

Conte. Cosa guardate? Ho qualche macchia d’intorno? (si guarda)

Evaristo. Scusatemi. Mi è stato detto che voi avevate un ventaglio?

Conte. Un ventaglio? (confondendosi) E vero, l’avete forse perduto voi?

Evaristo. Sì signor, l’ho perduto io.

Conte. Ma vi sono bene dei ventagli al mondo. Cosa sapete che sia quello che avete perduto?

Evaristo. Se volete aver la bontà di lasciarmelo vedere...

Conte. Caro amico, mi dispiace che siete venuto un po’ tardi.

Evaristo. Come tardi?

Conte. Il ventaglio non è più in mano mia.

Evaristo. Non è più in mano vostra? (agitato)

Conte. No, l’ho dato ad una persona.

Evaristo. E a qual persona l’avete dato? (riscaldandosi)

Conte. Questo è quello ch’io non voglio dirvi.

Evaristo. Signor Conte, mi preme saperlo; mi preme aver quel ventaglio, e mi avete a dire chi l’ha.

Conte. Non vi dirò niente.

Evaristo. Giuro al cielo, voi lo direte. (trasportato)

Conte. Come! mi perdereste il rispetto?

Evaristo. Lo dico, e lo sosterrò; non è azione da galantuomo. (con caldo)

Conte. Sapete voi che ho un paio di pistole cariche? (caldo)

Evaristo. Che importa a me delle vostre pistole? Il mio ventaglio, signore.