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1813, 9 ottobre, al S. Benedetto, la Comp. Pellandi con Blanes e Vestri (Giorn. dipartiment. dell’Adriatico).

1815, 28 novembre, allo stesso teatro la Comp. Blanes (ibid.).

1820, 4 gennaio, al S. Benedetto, la Comp. Vestri e Venier (Gazz. privil. di Venezia e Giorn. dei teatri comici, dalla Bibl. teatrale, Venezia, Gnoato).

1820, 25 marzo, al S. Gio. Grisostomo la Comp. Dorati col sottitolo: Pandolfo mercante milanese in Parigi (v. Giorn. dei teatri comici).

1820, 1O settembre, al D’Angennes di Torino, la Comp. Mascherpa e Velli, col sottitolo c. s. (ibid.).

La copiosa serie di recite nella sola Venezia prova che la commedia fu nel repertorio de’ nostri comici per tre decenni e più. Ben s’intende che le stesse compagnie l’eseguirono anche altrove.

Importa occuparsi ancora d’una memoranda esecuzione del Matrimonio per concorso a Monza ai 10 o agli 11 di gennaio del 1798, tanto più che l’aneddoto, narrato da Giuseppe Riva (La Patria, Monza, 3 e 10 marzo 1907, n. 329, 330), spiega la fortuna della fiacca commedia durante il periodo napoleonico. Le scene dell’atto secondo, dove rivivono figure e modi del l’ancien régime, offrivano il fianco alla satira e alla caricatura. N’approfittarono largamente quei comici, racconta il Riva. «Chiedendo quasi inspirazione ed aiuto alle tradizioni non molto remote dell’arte comica estemporanea, si erano permessi d’infarcire monologhi e dialoghi di quante tirate rivoluzionarie potevano suggerire la qualità del personaggio e le vicende del fatto rappresentato, non omettendo, siccome si esprimeva il rapporto dei nostri Municipali sulla memorabile serata, di spargere il ridicolo sulli trapassati titoli blasonici con digressioni estemporanee lor quando occorreva loro di nominare qualche titolato». Fin là potevano contare sul consenso del pubblico. Ben altra accoglienza trova la comparsa di Filippo travestito da colonello tedesco. " I commedianti non aveano certo pensato — continua il Riva — alle probabili conseguenze della comparsa d’una divisa austriaca sulla scena, quando contro di essa, additata come simbolo di vergognosa tirannide, avevano raddoppiato i loro colpi così i battaglioni del Bonaparte come gl’improvvisati aizzatori dei comizi". Incominciò un chiasso indiavolato e qualcuno chiese che s’abbassasse la tela. Intervenne il comandante militare della piazza, Laine. Il pandemonio cessò e si potè continuare. Per la burrascosa serata vi fu tra le diverse autorità uno scambio di rampogne e di giustificazioni. Il Laine nel suo rapporto attestò che nel Matrimonio per concorso «il n’y a rien cantre les bonnes moeurs ni contre la constitution». Chi in Milano sopraintendeva allora al buon ordine e al governo dello spirito pubblico, ebbe a rimproverare la Municipalità di Monza d’aver tollerato sulle scene dal maggior teatro, fra le «pezze d’antico sistema contrarie o non confacenti all’attuale Governo», anche commedie del Goldoni. Manetta Ortiz, che in una sua rassegna di cose goldoniane riassume l’articolo del Riva, dopo un’arguta disamina del libro del Falchi sul preteso giacobinismo goldoniano chiede celiando: «Non parrebbe... che il rivoluzionario Goldoni fosse giudicato un retrivo dai rivoluzionari autentici?» (Giorn. storico d. lett. ital,, 1908, p. 199).

Nel dire la commedia onestissima il Lainè si trova d’accordo con l’autore.