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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/108

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La gioia del Goldoni era tanto più grande, quanto men fortunato era riuscito il primo anno del suo soggiorno in Francia. Poche settimane avanti, il commediografo veneziano lasciava vedere nelle sue lettere il proprio scoraggiamento, e pensava di "ritornare in Italia più presto". Quelle stesse lotte che in patria lo avevano tante volte amareggiato, si erano ripresentate sulle tavole della Commedia Italiana a Parigi, dove gli attori stessi con le loro beghe, con le loro invidie, gli rendevano difficile il trionfo. Ma ora finalmente il vecchio autore che aveva conosciuto tante vittorie, tanti applausi, si sentiva un’altra volta soddisfatto; e l’11 ottobre partecipava al N. U. Vendramin il suo giubilo: "Questa mia nuova commedia ha fatto un grand’incontro a Parigi; l’applauso continua, si aumenta, e sono arrivato a vedere il Teatro pieno, a segno che Domenica hanno fatto di cassetta mille ducati d’argento. La commedia è di grande intreccio, di gran passione, di gran interesse e molto ridicola. Una commedia simile dovrebbe certamente piacere a Venezia ancora. Ma è quasi tutta a soggetto, ed appoggiata alle Maschere, e principalmente all’Arlecchino, che qui è eccellente" (D. Mantovani. C. G. e il Teatro di S. Luca a Venezia, Milano, 1885, p. 203. - Perfino al Voltaire manifestava tale gaudio: v. lettera ed. da Spinelli in Fogli sparsi del Gold., Milano, 1885, p. 118).

Osservo subito come il Goldoni per ottenere un così lieto successo facesse scivolare un po’ di tenerezza, di commozione, di pianto nella allegra famiglia delle maschere: ciò che si vede già nel primo e umile tentativo dell’Amor paterno e, del resto, era anche nelle tradizioni della commedia dell’Arte. Ormai nemmeno i teatri della Fiera, nemmeno il Teatro Italiano a Parigi, si mostravano capaci di salvare la commedia pura in Francia, dove invecchiava la stessa commedia lacrimosa, e la tragedia diventava domestica e borghese, e si affacciava il dramma (v Gaiffe, Le Drame en France au 18e siècle, Paris, 1910, specialmente P. II, ch. I). Il Goldoni non mulina pel capo nè evoluzioni nè rivoluzioni, ma riprende e rinnova a Parigi certi felici esperimenti dei suoi anni trascorsi, quando scriveva pei teatri di Sant’Angelo e di S. Luca, indulgendo al gusto dei tempi e alla sua propria natura di artista.

Sarebbe una inutile ricerca quella degli amori fortunati e contrastati d’Arlecchino nel Seicento e nel Settecento: il motivo dell’azione drammatica è diverso nello scenario goldoniano e poggia sulle misere condizioni dei due amanti. Il Malamani in un suo libro giovanile, dopo aver accennato al misterioso documento scoperto dal Campardon, cioè alla querela per seduzione, presentata da Caterina Lefebure detta Mery contro il Goldoni e ritirata il giorno stesso 19 Ottobre 1763 (Les Comédiens du Roi de la Troupe Italienne, Paris, t. I, 1880, p. 250; V. anche G. Mazzoni, note aggiunte ai Mémoires di C. G., Firenze, t. II, 1907, p. 427), esce in questa singolare ipotesi: "Nessun uomo di mondo darà importanza alla galanteria goldoniana. Chi può dire che gli amori suoi con la signora Caterina non ispirassero al suo genio di poeta i fortunatissimi Amours d’Arlequin et de Camille? Le grandi cose hanno quasi sempre piccole cause" (Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887, p. 104). A dire il vero, il commediografo veneziano, per descrivere i tumulti del cuore, poteva risalire a più antiche ma più oneste esperienze.

Poichè la commedia era "per la maggior parte a soggetto" (Mantovani, l. c, 205), il merito si doveva dunque dividere col valentissimo Carlin, cioè