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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/120

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114 ATTO PRIMO

Lindoro. (Ah pur troppo ho dei sospetti che mi tormentano!) (scrive)

Zelinda. Tanto più che quest’è un torto che fareste a me.

Lindoro. (È vero, ma non me ne posso ancor liberare!) (scrive)

Zelinda. Non dite niente? non rispondete? Sareste mai per avventura dubbioso?...

Lindoro. Sono occupato a scrivere, quest’è la ragione per cui non parlo.

Zelinda. Non credo mai che il mio caro Lindoro...

Lindoro. Lasciatemi terminar questa lettera.

Zelinda. Fate pure, non vi voglio sturbar d’avvantaggio. (No, no, non v’è pericolo. Lindoro mi ama, mi conosce perfettamente, non può sospettare di me). (da sè)

SCENA II.

Fabrizio e detti.

Fabrizio. Lindoro, il padrone vi domanda.

Lindoro. Qual padrone?

Fabrizio. Il signor don Roberto. Non sapete che il signor don Flaminio è in campagna? Che il padre lo ha mandato a vendere il grano ed il vino della raccolta?

Lindoro. Sì, è vero, non me ne ricordava.

Fabrizio. Andate dunque...

Lindoro. Non mi mancano che due righe a terminar questa lettera. (sarive)

Fabrizio. Finitela, e andate. Il padrone ha bisogno di voi.

Lindoro. (Ho gran sospetto sopra costui). ( da sè, scrivendo)

Fabrizio. (Ho un affar di premura da comunicarvi). (piano a Zelinda)

Zelinda. (Ditelo...) (piano a Fabrizio)

Fabrizio. (Ora non posso). (piano a Zelinda) Bellissima questa tela. Sono camiscie per il padrone?

Zelinda. No, sono per mio marito.

Fabrizio. Brava. Gran donnetta di garbo! Gran buona moglie! In verità, Lindoro, non posso cessare di consolarmi con voi. Non si può dare un matrimonio meglio assortito di questo.