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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/147

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LA GELOSIA DI LINDORO 141

Zelinda. Signor don Roberto, siate voi il mio protettore, il mio difensore. (con tenerezza)

Roberto. Zelinda carissima, io vi conosco: so che siete onestissima, comprendo tutto quello che dite, lo credo, sarà così; ma a fronte di tutto, a costo d’ogni pericolo e d’ogni riguardo, si tratta dell’onor vostro, si tratta della quiete di vostro marito, e credo che siate in debito di parlare.

SCENA IX.

Fabrizio e detti.

Fabrizio. (Resta in disparte, e ascolta.)

Zelinda. Possibile, signore, che un uomo saggio come voi siete...

Lindoro. Ell’avrà l’ardire di condannarvi... (a don Roberto)

Roberto. Mi pare la resistenza un po’ troppo forte... (a Zelinda)

Fabrizio. Con permissione. M’hanno detto ch’ella mi cercava. (a don Roberto con qualche agitazione)

Roberto. Oh appunto... (verso Fabrizio)

Lindoro. Ecco lì l’interprete, il confidente...

Roberto. Lasciate parlare a me. (a Lindoro)

Zelinda. Voi vedete, Fabrizio...

Roberto. Badate a me. (a Fabrizio, tirando fuori la lettera) Siete voi informato di questa lettera che fu trovata sul tavolino di Zelinda?

Fabrizio. Sì signore, la conosco benissimo, e Zelinda l’ha avuta dalle mie mani.

Lindoro. Ecco s’io diceva la verità...

Roberto. Tacete.

Zelinda. Fabrizio, io ho mantenuta la mia parola a costo di mille ingiurie, ci vogliono obbligar a parlare. Voi sapete di che si tratta, tocca a voi a decidere se s’ha da parlare, o tacere.