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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/275

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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 269


Flaminio, e dirgli che quanto prima mi darò l’onore di riverirlo in persona. (a Lindoro, e parte)

Barbara. Salutatelo ancora da parte mia; e ditegli che quando può, si lasci vedere. (a Lindoro, e parte)

SCENA IX.

Tognina, Lindoro e Fabrizio.

Lindoro. Vado subito... (vuol liberarsi e non può)

Tognina. Aspettate. (tenendolo)

Lindoro. Vi prego lasciarmi andare.

Tognina. Un momento. Sentite. (sempre tenendolo per mano) Fatemi il piacere di riverire la signora Zelinda, ditele che non vedo l’ora di vederla, che mi voglia bene, e che saremo, se si degnerà, buone amiche e compagne.

Lindoro. Sì, cara signora Tognina, glielo dirò.

SCENA X.

Zelinda e detti.

Zelinda. (Entra e resta indietro sorpresa.)

Tognina. E staremo allegri; staremo allegri, ve l’assicuro. (stringendogli la mano per amicizia)

Zelinda. (Fa un atto di disperazione non veduta, senza dir niente.)

Lindoro. Così desidero, e così spero.

Tognina. E Fabrizio sarà contento; non è egli vero?

Fabrizio. Contentissimo... Oh ecco la signora Zelinda.

Lindoro. (Si libera da Tognina e le corre incontro per abbracciarla) Gioia mia, siete qui? (vuol abbracciarla)

Zelinda. (Lo rispinge con violenza senza dir niente.)

Lindoro. Come? mi discacciate da voi?

Tognina. Poverino! cosa v’ha fatto?

Fabrizio. (Che sia gelosa essa pure?) (da sè)

Zelinda. (Bisogna fingere, vi vuol coraggio). (da sè) Sì, sono in collera con voi. (a Lindoro)

Lindoro. Ma perchè?