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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/282

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Costanza. (Alzandosi con fatica e con voce debole) Voi siete troppo buono, signore, ad interessarvi per me, non abbadate alla mia debolezza, spero ricuperar le mie forze, partirò, e soffrirò pazientemente la mie disavventure.

Geronte. (Si mostra incenerito senza dir parola.)

Leandro. Ah! mio zio, soffrirete voi...

Geronte. (Bruscamente a Leandro) Taci, (a Costanza) Restate qui con vostro marito.

Costanza. (Con trasporto di gioia) Ah! signore...

Leandro. Mio amorosissimo zio...

Geronte. (Serio, ma senza trasporti, prendendo l’una e l’altro per la mano) Ascoltatemi. I miei risparmi non dovevano servire per me, voi gli avreste ritrovati un giorno, voi li avete consunti, la sorgente è inaridita; siate cauti per l’avvenire, e se non siete penetrati della riconoscenza, fate che l’onore v’impegni.

Costanza. La vostra bontà...

Leandro. La vostra generosità...

Geronte. Basta così.

Marta. Signore, poiché siete in una sì bella disposizione di far del bene, non farete voi qualche cosa per la signora Angelica?

Geronte. Ah!... ov’è Angelica?

Marta. Non è lontana.

Geronte. (Piano a Marta) E lo sposo è egli con lei?

Marta. (Piano) Lo sposo?

Geronte. Sì, vi è egli ancora? o è partito?

Marta. (Da sé) (Bellissima), (a Geronte) Vi è, non è partito.

Geronte. Che venghino qui.

Marta. Angelica? e...

Geronte. Sì, tutti due.

Marta. Subito, (avvicinandosi alla scena) Venite, venite, figliuoli, non temete, il signor Geronte vi invita.