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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/451

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del suo genio e della sua penna. Egli compose l'Avaro fastoso, commedia in 5 atti. Fu rappresentato, secondo il costume, a corte prima che nella capitale. Il carattere dell’avaro fastoso ch’egli dice d’aver osservato in Italia [la prudenza del buon Goldoni!], ov’era assai comune, non giunse nuovo a Versailles e sembrò calcato su di un personaggio assai in vista. L’individuo vi si riconobbe perfettamente e del pari fu anche riconosciuto. Il giorno dopo mandò a dire al Goldoni che gli sarebbe dispiaciuto se la commedia si fosse data a Parigi e quest’avviso fu accompagnato da diecimila lire offerte quale indennizzo. Goldoni indispettito gettò il manoscritto nel fuoco (!) e risolse di non scrivere altro. Ricusò il denaro, ma gli fu mandato di nuovo; e sia per paura o per rispetto finì con accettarlo".

All’Albergati il Goldoni stesso dà notizia dell’insuccesso con lettera nota a noi solo in questo breve riassunto del Tognetti, senza data (Biblioteca Comun. di Bologna, Spogli Ortolani): "Dice d’aver dato il suo Avaro fastoso alla Corte in Fontanablò (sic). Ma sì freddamente è stato recitato che non vuol esporlo in Parigi. Lo ha tradotto in italiano. Si è saputo in Venezia. L’Ecc.mo S.r Andrea Querini di S. M. Formosa lo ha dimandato per i suoi nepotini, e glielo spedisce". La traduzione dunque è contemporanea alla recita. Traduzione molto libera se raffrontata con l’originale com’è noto oggi a noi, ma forse vicina all’una o all’altra delle lezioni tentate dall’autore per rendere il lavoro meno ostico al palato dei comici francesi. Diverso intanto lo scioglimento - che risponde al riassunto delle Memorie - con i personaggi tutti in scena, secondo la buona tradizione, compresi il gioielliere che ricupera la sua merce. Giacinto, sceso da letterato pitocco a ricattatore, e il notaio. Il protagonista non pensa più a una comoda fuga, ma fatto buon viso ad un bruttissimo giuoco, s’accinge coi suoi invitati a festeggiare nozze non più sue. La chiusa, strozzata, del copione può apparire originale, ma non aveva nulla di goldoniano. L’impose verisimilmente all’autore economia di tempo nella recita. Vi hanno altre innovazioni più o meno felici. Con la promozione al titolo comitale Casteldoro cresce a trenta il numero de’suoi invitati, di che si preoccupa non poco Frontino data l’avarizia del padrone che non voleva pagare neanche il conto di una cena di soli tre invitati. Savia cosa ritenne questa volta il G. presentare al pubblico, prima ch’entri in scena, quel Marchese che aveva contribuito all’insuccesso della commedia originale. Del suo intercalare bene bene benissimo si fa qua e là buon uso comico. Si duole il conte di non trovare a dispetto di forti spese e vistosi doni, che ingratitudine e ingiustizia. " Bene, bene, benissimo" interloquisce il marchese. E il conte: "maledettissimo intercalare!" "Quelle sottise" diceva Araminte quando sente il numero degli invitati. Con maggior effetto comico la traduzione: "Quest’è un uomo che si rovina". Casteldoro avverte il cavaliere, arrivato allora e ignaro che la sua Eleonora sta per isposare il conte, che di là ci sono persone di sua conoscenza cioè Araminta e sua figlia. "Andate", gli dice, "vi diranno là delle nuove che voi non potete ancora sapere, ma che vi faranno piacere". Evidente dunque la ricerca di maggior comicità. Prolissità e nuovi particolari sciupano la scena col sarto (A. I, V). Quella con Giacinto (A. III, II), delle più fredde già nell’Avare fastueux, è allungata non poco da un’aggiunta, dove il G. si vendica dei comici del Théâtre français. Il poeta