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144 ATTO QUARTO
Che non amarlo io non potrei. Ha un’alma

Che tutti vince i più sublimi eroi;
E tu stesso lo sai; tu che ne avesti
Cotante prove un dì. La vita, il regno
Non offre a te della mia destra in prezzo?
Qual più dell’amor suo sicura prova
Darci potea? La spada sua mi porse,
Il sen mi presentò. No, non poss’io,
Padre, con chi m’adora esser ingrata.
Alerico. Troppo dicesti tu; troppo io soffersi.
In faccia mia del mio nemico i vanti
Rammentar non paventi? Olà, raffrena
La sacrilega lingua, empia, mendace.
Rosmonda. Dissi; ma tacqui il più. Finora udisti
Dell’amante le voci; ascolta, o padre,
Della figlia gli accenti. Il sangue sparse
Del mio german, del figlio tuo trafitto,
Questo re di Norvegia; egli è nimico
Di te; tanto mi basta, ond’abbia in petto
A chiuder il mio foco ed a vestire
Di sdegno atroce la pietà, l’amore.
Ei desia le mie nozze, e invan le spera.
Pria che porger la destra al mio nemico,
Tutto il mio sangue io spargerò dal seno.
Alerico. Chi l’amante o la figlia in te ravvisa?
Del tuo perfido cor ebbi le prove,
Ma la virtù solo col labbro ostenti.
Rosmonda. Oggi vedrai, se all’amor mio prevalga
La mia fortezza. Oggi vedrai, s’io sappia
Senza oltraggiar il genitor, l’amante,
Ad entrambi serbar l’amor, la fede.
Con la mia morte priverò Germondo
Della spoglia più cara, e il tristo dubbio
Toglierò dal tuo cor. Che maggior prova,
Padre, ti poss’io dar del mio rispetto?