Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/193

Da Wikisource.

LA GRISELDA 191
Della sua povertà vile ed abbietta.

Su quel trono però con troppo fasto
Non alzai la mia mente. Io risplendeva,
Ma la luce era tua; come del sole
È la luce, per cui splende la nube.
Gualtiero. Dimmi: rammenti tu di quella figlia
Che fu il primo tuo parto, e che rapita
Ti venne dalla culla?
Griselda.   Ahi rimembranza!
Fui madre appena, che (non so dir come)
Il bel frutto perdei del nostro amore.
Già son tre lustri, e più di lei non ebbi
Notizia alcuna. Oh quante sparsi, oh quante
Lagrime dolorose!
Gualtiero.   Odi, e stupisci.
Della figlia che piangi, io fui a un tempo
E carnefice, e padre.
Griselda.   Era tuo sangue,
E versar lo potevi a tuo piacere.
Più non piango il suo fato, or che tu fosti
Del suo fato l’autor. Gualtier non opra
Senza retto consiglio, e s’egli vinse
L’amor di padre in isvenar la figlia,
Arcano fia, cui penetrar non lice.
Gualtiero. E mi ami ancor crudel?
Griselda.   E amarti meno
Io non potrei, se me svenassi1 ancora.
Gualtiero. Griselda, tua virtù degna ti rende
Dell’affetto d’un Re: tal ti conobbi.
Di quanto feci, io non mi pento; il cielo
Testimonio ne sia; ma pur conviene
Che i miei doni ritratti. Il Re talvolta
Dee servire ai vassalli, e seco stesso,
Per serbarne il dominio, esser tiranno.

  1. Nel testo: svenasti.