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216 ATTO SECONDO
Di riposo incapace; a voi pensando

Sempre mesta sarò... Ma chi è colui
Che curvo e tardo ad un baston s’appoggia,
E qui sembra rivolga i lenti passi?
Fosse il mio genitor! Se non m’inganna
Il desio di vederlo... Affé, ch’è desso;
Oh qual mi sveglia in sen dolce diletto!
(si ritira in disparte
Artrando. Oh come belle al rinnovar dell’anno
Spuntan le molli erbette! Oh come scalda
Co’ primi raggi dell’ariete il sole!
Tutte io mi sento invigorir le membra,
E ad onta dell’età parmi nel seno
La forza rinnovar de’ miei prim’anni.
Ecco il bel frutto d’una moderata
Vita innocente, d’altre cure priva,
Vaga di poco, e di sé sol contenta.
Non avrei già così quindici lustri
Lietamente passati in mezzo agli agi,
Dove trarmi volea seco mia figlia,
O non sarei giunto fin qui, o ch’io
Vi sarei giunto di difetti carco.
Più mi cale d’aver perfetta vista,
Accorto e pronto udito e forti denti,
Che di mille milion d’auree monete.
Io son quasi felice; ma v’è il quasi,
Perchè il cielo quaggiù non vuol felici.
Mi sta nel cor la figlia, e di vederla
Cotanto è il desir mio, che ben sovente
Bramo d’esser in corte; indi pensando
Della corte ai perigli, in me ritorno,
E mi eleggo soffrire un sol tormento
Nella sua lontananza, anzi che cento
Provar tormenti a lei vivendo appresso.
Oggi intesi che qui venir destini