Artandro. Io credo che costoro abbiano il core
Fatto come la cera, in cui s’imprime
Facilmente ogni cosa, e facilmente
Cancellare si può; ma senti, o figlia:
Non ti doler di ciò, ringrazia il fato,
Che per premiar la tua bontà, ti guida
A viver lieta. Dimmi; da quel giorno,
Che tu passasti dalla selva al trono,
Godesti mai senza cordoglio un bene?
Griselda. No padre, ma d’amaro ogni piacere
Trovai misto mai sempre.
Artandro. Or qui godrai
Tutto intero il piacer. Chi non desia
Se non quel che possiede, egli possede
Tutto quel che desia; chi si contenta
Della sua povertà, ricco è in se stesso.
Ma sai qual è la povertà penosa,
Che avvilisce il meschin? Quella per cui
Sudar il dì, vegliar le notti ei deve,
Per procacciarsi il pane, e non la nostra,
Che con lieve fatica a noi concede
Parco sì, ma sicuro e nostro cibo.
Povero chi sospira, e non ottiene.
Felice chi possiede, e non desia.
Felici noi, che sen vivemo in pace.
Povero il cittadin, che suda e pena.
Griselda. A chi visse mai sempre in basso stato,
Non è grave sua sorte; e non aspira
Il pastor fra le selve a regio trono:
Ma chi scende da quello a un vil tugurio,
Non può farlo sì franco. Io, grazie ai numi,
Tanto non sento già la mia sventura,
Che giunga a delirar; ma dal pensiero
Non posso trar la rimembranza amara,
Che fui regina un dì.