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del Zeno quanto e come ha voluto” confessa candidamente il buon Dottore ma l’Opera andò in scena durante la fiera dell’Ascensione e fu applaudita.

Dallo stesso melodramma zeniano ci ricorda pure il Goldoni che “una tragedia in prosa” aveva tratto il Pariati, per uso dei comici del teatro di S. Samuele: la quale “avea piaciuto per qualche tempo” fin che il pubblico non s’annoiò. Per fortuna questo copione che il Goldoni potè leggere, non fu mai stampato e andò perduto. Abbiamo, per compenso, un’altra Griselda, una “tragicommedia italiana in cinque atti” in prosa, del comico Luigi Riccoboni, detto Lelio, pubblicata a Parigi nel 1718 con di fronte la versione francese (Nouveau Théatre Italien etc., t. I). Nella prefazione l’autore così si vanta: “Cette Pièce est la première que j’ay composée: le sujet en est tiré d’une nouvelle de Boccace etc.”: ma si guarda bene dal ricordare lo Zeno che segue fedelmente nelle scene principali. Vero è che aggiunge Giannolle, il padre di Griselda (detto Giannucolo dal Boccaccio), il quale trovasi collo stesso nome nell’opera giovanile del Maggi; e aggiunge il Pantalone e l’Arlichino, servi di corte (che corrispondono a Elpino “servo faceto”), e modifica il nome di Gualtiero in Godofredo: ma gli altri personaggi, Ottone Corrado Roberto Costanza, sono gli stessi, e non vi manca nemmeno il piccolo Everardo; e quelle sono le scene, e l’azione si svolge ancora in Sicilia. Può essere presunzione la mia, ma il sospetto che questa Griselda del Riccoboni somigli molto a quella scomparsa del Pariati mi è venuto più di una volta, e non deve meravigliarsi chi sappia come gli antichi comici non avessero troppi scrupoli intorno alla proprietà letteraria. (Noto qui come Naborre Campanini nel suo saggio sul Pariati, Un precursore del Metastasio, Firenze, Sansoni, 1904, p. 25, interpretando a torto le parole dei Mémoires, cadesse in errate affermazioni, ripetute anche in questa li ed., sebbene lo correggesse il dott. Luigi Pistorelli, I melodrammi di A. Zeno, Padova, 1894, pp. 19-21).

Per accontentare l’attrice Cecilia Rutti, detta la Romana, il Goldoni riprese nelle sue mani il dramma dello Zeno, trasportò l’azione dalla Sicilia in Tessaglia, conservò, si può dire, tutte le scene, conservò dei versi quanti più potè, rimaneggiandoli però liberamente, allungò i dialoghi più importanti, cercò di dare maggiore severità ai personaggi e all’azione, levò via il servo Elpino che si permetteva qualche scherzo comico, aggiunse qualche scena (la 1.a del I atto, la lunghissima scena 3 e le due ulime del II), aggiunse un personaggio nuovo, il padre di Griselda (vedasi Pistorelli, l. c., p. 20, n. 1). “Questo vecchio” ricorda il Goldoni (v. vol. I, pp. 112-3) “piacque infinitamente ma quasi certo era nella tragedia in prosa del Pariati, e lo abbiamo visto in quella del Riccoboni, benchè si chiami ora Artandro in vece di Giannolle. Come mai il pubblico veneziano potesse divertirsi a udire da costui la descrizione della vita pastorale, non può capire chi non pensi ai belati d’Arcadia nel Settecento e al bravo attore Casali che declamava da pari suo l’idillio campestre. Io credo che il giovane Goldoni molto si compiacesse di quel frammento poetico il quale è tutto suo, anche se è tutto falso, com’è tutta falsa la Griselda, misero lavoro di rabberciamento di un misero modello. Il Pistorelli afferma volentieri che il Goldoni “corresse e migliorò il melodramma” (p. 20), nè io mi oppongo; dico solo che la lettura della Griselda di A. Zeno si sopporta meglio perchè più breve e perchè fra quella polvere e quella muffa di teatro antico