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452 ATTO QUINTO
Rinaldo.   Ferma. (lo trattiene

Ruggiero. Si trattenga chi può.
Rinaldo.   Chetati, dico.
Perdonate all’età.
Florante.   Se tanto è ardito
In sì tenera età, pensate voi,
Nella matura qual saria l’audace!
Carlo. Si difenda Rinaldo.
Rinaldo.   Eterni Dei!
Grazie a vostra bontà, giunto è il momento
Sospirato cotanto, in cui poss’io
Favellare una volta. Invitto Sire,
Deh, per pietà lasciate almen ch’io possa
Tutto dire a mio senno; e non vi sia
Chi interrompermi ardisca. Invitti Duci,
Illustri Paladini, ah! qui si tratta
Della vita non men che dell’onore
D’un cavalier; uditemi pietosi,
Giusti poi1 giudicate; e voi, mio figlio,
Attento udite i detti miei: superbia
Non v’acciechi però, se i merti vostri
M’udirete ridir: tutti son doni
Della pietà de’ Numi, ed è de’ Numi
Questa nostra sventura il maggior dono,
Per cui più chiaro e più felice alfine
Di Rinaldo l’onor sorger vedrassi.
Sì, lo spero. M’udite. Era, si dice,
Facile impresa rintuzzare i Mori;
E perchè tale, io fui l’eletto. Dunque
Sol di facili imprese ho il cuor capace?
Io dunque ho sino ad ora indegnamente
Di duce e capitan nome usurpato.
Io sono un uomo vil. Gano per tale
Mi dipinse al Consiglio. Ah! se v’è alcuno

  1. Nell’ed. Zatta: voi.