Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/470

Da Wikisource.
466

Renaud est coupable, et qu’ il sera trouvé tel par ses Juges, il ordonne pour augmenter sa confusion, que son procès soit instruit en présence du Roi de Maroc, qui doit venir dans le Camp des François, pour jurer la trêve avec Charles. Dans le moment que ce Prince est arrivé, Renaud vient se remettre volontairement entre les mains de l’Empereur. Ses accusateurs destitués de preuves sont confondus, leurs calomnies se découvrent, et les efforts qu’il ont fait pour noircir sa vertu, ne servent qu’à la mettre dans un plus grand jour. Charlemagne reconnoissant enfin son injustice et l’innocence de Renaud, lui rend ses emplois et ses dignités, et bannit ses accusateurs”.

Osservò già Rosario Bonfanti: “Non si può intendere quale parte vi avessero le maschere. Ma l’essere citate fra gli attori, quando poi nell’estratto non ne è fatta nemmen parola, dice che esse formavano la parte comica puramente accessoria” (La donna di garbo, Noto, 1899, n. 1 pp. 37-38). Per conoscere la parte e il dialogo stesso delle maschere basta leggere Cicognini. Tuttavia, come si apprende dalle citate Memorie, anche qui toccò il compito al Goldoni di ripulire da ogni buffoneria, da ogni mistura di elemento comico il dialogo e l’azione, e anche da troppe inverosimiglianze, da troppa materia romanzesca, per avvicinarsi alla tragedia, sebbene senza agnizioni, senza atrocità, con fine lieto. Pure è strano che continuasse a chiamare il suo Rinaldo “commedia in versi”. Dell’antica opera scenica del Cicognini, spettacolosa e puerile, con frequenti battaglie sul palcoscenico e suono di tamburi e diavoli, quasi nulla resta. Sono spariti, fra i personaggi, il re di Marocco e Malagigi e Oliviero e Pulicinella e Celindo moro. Anche qui, come nel Belisario, la lotta dei buoni e dei malvagi, dei virtuosi e dei perfidi: anche qui l’eroe puro perseguitato, e il buon re ingannato. La signora Marchini-Capasso avverte in queste che intitola “opere serie” del Goldoni, “la tendenza sempre crescente a bandire l’orrido tragico”, “la norma di preferire alle azioni veramente tragiche quelle che pur commovendo, finiscono a non turbare del tutto l’intima serenità”. “Il Rinaldo, ad es., l’eroe che nella tragedia omonima rappresenta il trionfo della verità sopra le macchinazioni della persecuzione e della frode, simbolo del puro cuore, fermo nella fede propria contro i cangiamenti della fortuna, si rivede mille volte nelle figure delle commedie, cambiato nelle molte vittime che, presso a soccombere innocenti negli intrighi dei perfidi raggiratori, ne vengono tolte improvvisamente dalla mano protettrice del cielo” (Goldoni e la Commedia dell’arte, Napoli, 1912, pp. 177 e 178). Ma è un carattere cotesto del teatro popolare moraleggiante.

Pur troppo del Rinaldo insulsa è l’azione, più insulsi i personaggi. Invano un recente lettore vi trovò della regolarità e perfino “qualche nota giusta di rappresentazione psicologica” (Màrio Penna, Il noviziato di C. Goldoni, Torino, Sten Grafica, 1925, pp. 36-40): se non fosse quel Ruggiero, figlio dell’eroe, che si dimena alquanto e ci fa sorridere, ci annoieremmo fino al tormento di tanta virtù e di tanta cattiveria umana. Come facessero i buoni Veneziani del Settecento a trattenere gli sbadigli durante le interminabili parlate di Rinaldo, di Clarice, di Gano, che ci fanno ricordare nell’ultimo atto il giovane avvocato veneziano che di sè si compiace, non sappiamo compren-