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520 ATTO QUARTO
Costanza.   Leonzio, è tempo

Di chiarirmi del tutto. Il Re destina
Me per sua sposa, o mi lusingo invano?
Leonzio. Ne dubitate ancor? Ieri la fede
Non vi giurò di tutto il regno a fronte?
Costanza. Giuramento forzato e mal sicuro.
Leonzio. Chi forzollo a giurar?
Costanza.   L’amor del regno,
Di Ruggiero la legge, ed il timore
D’esser vassallo al suo minor germano.
Leonzio. Disse pur che a sposarvi avealo indotto
L’interesse d’amor, più che del regno.
Costanza. Non è sì strano il simular, se giova.
Leonzio. Non ho ragion di dubitar d’Enrico.
Costanza. Io dell’inganno suo quasi son certa.
Leonzio. Donde il sospetto vostro?
Costanza.   Ei non procede
Da una sola cagion. Ma varie sono
Le fonti, onde deriva il mio cordoglio.
Leonzio. Troppo amante voi siete, ed a misura
Sempre d’amor la gelosia s’avanza.
Costanza. Non m’accieca l’amor, sicchè non scema
Troppo vero il sospetto.
Leonzio.   Oggi avrà fine
La pena vostra; l’ombre vane e triste
Dissiperà dell’imeneo la face.
Costanza. Sì vicino non spero il mio contento.
Leonzio. Io v’accerto del bene1, e voi volete
Tremar del male? La follia di tanti
Non seguite voi pur. Viziosi sempre
Furo gli estremi: il confidar soverchio
E il soverchio temer nuoce del pari.
La speranza e il timor sono i governi
Dell’accorto nocchiero. Ei non è vile

  1. Bett.: Che vago stil di tormentar voi stessa! — lo v’accerto del bene ecc.