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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/547

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ENRICO 543
Enrico.   Udite almeno,

Se ho ragion di sperarlo; indi, mia cara,
Condannatemi allor. Dite: d’Ormondo
Chi vi fece consorte? amore, o sdegno?
Matilde. Ah, pur troppo il dirò. Sdegno e vendetta
Mosse la destra mia.
Enrico.   Sembravi questo
Santo e giusto imeneo? Sarebbe al Cielo
Un’offesa il disciorlo?
Matilde.   Ah che mai dite!
E l’onor mio?...
Enrico.   Basta a salvar l’onore,
Ch’a più degno imeneo passi la sposa.
Matilde. Ma chi v’ha sulla terra, a cui spettasse
Questo nodo di sciorre? Il volgo ignaro
Che non guarda più su di sua bassezza,
Vi direbbe tiranno.
Enrico.   Una ragione
V’è per lo volgo ancor. Quando s’intese,
Che un ministro del Re la propria figlia
Senza il regio consenso altrui cedesse?
Quest’insulto soffrir saria viltade,
Nè si può vendicar, che col disciorre
L’empio, ingiusto imeneo.
Matilde.   Ma il padre?
Enrico.   Il padre
È suddito cogli altri.
Matilde.   E Ormondo?
Enrico.   Ormondo
Soffra la sorte sua. Fra il Re e il vassallo,
Chi ha ragion di voler?
Matilde.   Diria che voi
Gli rapite la sposa.
Enrico.   Eh che non siete
Voi la sposa d’Ormondo. Un giuramento