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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/96

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Di Belisario la virtù, l’orrore

Del suo misero stato entro al mio seno
Giunsero al fin ad introdur pietade.
Pietà di lui, ma non di me che troppo
Ne son indegna, e solo morte attendo.
Ma se morir degg’io, di questo solo
Nell’ultimo mio dì, signor, ti prego.
Deh! non lasciar che dal mio sen si parta
L’anima addolorata e seco porti
Lo sdegno tuo sin nell’Averno ancora.
Punisci in me la colpa; essa è ben degna
Del rigor delle leggi, ma lo spirto
Deh! non punir, e nella tomba mia
L’ira tua fia sepolta e la mia colpa.
Giustiniano. Muori pur, cruda donna, e quella pace
Venga con te, che a me tu lasci.
Teodora.   Oh fiera
Terribile sentenza!
Giustiniano.   Olà, soldati,
Sia condotta colei...

SCENA IX.

Antonia e detti.

Antonia.   Cesare, io riedo

Di felici novelle apportatrice.
Giustiniano. Belisario che fa?
Antonia.   Ei non sì tosto
Al popolo mostrossi, che s’udìo
Passar di bocca in bocca il suo gran nome.
Ciascun volea vederlo; e a quella vista
Chi piagnea, chi fremea, e chi esclamava:
Pera chi fu cagion del colp’orrendo.
Vi fu talun che giunse a dir (perdona,