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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu/194

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190 ATTO QUARTO
Mi tolsero ad un tratto il lume e le parole;

Caddi qual fior sul campo, colto dai rai del sole.
Il Ciel mi serba in vita, e non mi serba invano;
Tamas darammi il cuore, come mi diè la mano.
Possibil che in vedermi pronta a morir per lui,
Non abbia a dir pentito: Fatima, ingrato io fui?
Fatima, per me offristi alle ferite il petto,
Eccoti in ricompensa qualche tenero affetto?
Sì, mi basta anche un segno d’amor, di tenerezza;
Tutto contenta un’alma alle sventure avvezza.
Dimmi sol che non m’odi, dimmi ch’io sono... oh Dio!
Padre, suocero, ah dite: dov’è lo sposo mio?
Perchè tarda a vedermi? perchè non vien l’ingrato?
Ohimè! Tamas sarebbe tradito, assassinato?
Che vive mi diceste. Creder lo deggio a voi.
Perdonate a una sposa l’ardir de’ dubbi suoi.
L’amor è che mi rende impaziente, ardita,
A rintracciar io stessa il mio ben, la mia vita, parte

SCENA XI.

Machmut, Osmano e Curcuma.

Machmut. Seguila. (a Curcuma

Curcuma.   Sì, signore. Poverina, è pietosa;
Anch’io son per natura tenera ed amorosa. parte
Machmut. Osmano, se ti lascio, forza è d’amore.
Osmano.   Io stesso
Teco verrò.
Machmut.   Fra donne non si chiede l’accesso.
Osmano. V’è mia figlia.
Machmut.   E vi sono giovani, schiave, ancelle.
Osmano. E la perfida Ircana si asconderà fra quelle1.
Machmut. Non so.
Osmano.   Sappilo, e rendi la schiava a me venduta,
O con quella del figlio temi la tua caduta.

  1. L’ed. Zatta ha qui l’interrogativo.