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350 ATTO SECONDO
Ircana.   Obbedisco 1.

Demetrio.   Olà, recateci un caffè.
(I Servi recano il caffè a tutti, fuorché ad Ircana.
Allo schiavo si porga.
Kiskia.   Lo prenderà da me.
(presenta una tazza ad Ircana
Ircana. Troppo gentile. (a Kiskia, prendendo la tazza
Marliotta. (Anch’io gliela vorrei offrire). da ti
Creona. (Io non gli darei questa, se il vedessi morire). da sè
Zulmira. (Kiskia di lui s’accende. Ah, che ancor io nel petto
Sento per lui destarmi un non inteso affetto), da sè
Ircana. Per quanto nel mio stato contento esser mi lice.
Posso chiamarmi, o belle, vostra mercè, felice.
La servitù ch’io soffro, non è che un vero bene.
Scordomi in (accia vostra gran parte di mie pene.
Quelle scordar mi posso prodotte dall’orgoglio,
L’altre no, che derivano da un tenero cordoglio.
Kiskia. (Credo che abbia perduto l’amante il poverino), da sè
Zulmira. (Farò, per quant’io posso, che cangi il suo destino).
da sè
Marliotta. (Se non fosse mia madre presente agli occhi miei.
So io, per rallegrarlo, so io quel che direi., da si
Creona. Schiavo, per quel ch’io sento, tu sei addolorato;
Vuoi che t’insegni il modo di riderti del fato?
Kiskia. Taci, garrula, ardita.
Ircana.   Deh lasciate che parli.
Creona. Sento che ha degli affanni, gl’insegnerò a curarli.
Kiskia. Parti da questo loco.
Creona.   Volentier, vado via. t alza
Ma s’egli è addolorato, vo’ consolarlo in pria.
Di confortar gli afflitti, sapete, è mio costume.
Se tu sei disperato, vatti a gettar nel fiume. parte

  1. Nella rist. torinese e nelle edd. Savioli e Zatta: Ubbidisco.