Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu/359

Da Wikisource.

IRCANA IN JULFA 355

Kiskia. Sposa non hai.
Ircana.   Nol nego.
Kiskia.   Libera sono.
Ircana.   È vero.
Kiskia. Vedova può, se il brami, far di sua destra il dono.
Ircana. Non a me.
Kiskia.   Perchè mai?
Ircana.   Perchè non sai qual sono.
Kiskia. Chi sei, che a meritarti la destra mia non vale?
Ircana. Sono a quel che tu sei, più che non credi eguale.
Kiskia. Dunque, se pari siamo, esser può il nodo onesto.
Ircana. Perchè pari siam troppo, non si può far per questo.
Kiskia. Spiegati, non t’intendo.
Ircana.   Dir non posso di più.
Kiskia. Parla.
Ircana.   In pace lasciatemi.
Kiskia.   Va; un ingrato sei tu.
Va pur, se ciò t’aggrada, va ad ascoltar Zulmira.
Ella è la tua signora, ella per te sospira.
Ma ti protesto e giuro, che lo saprà il germano:
Caro farò costarti lo sprezzo di mia mano.
Ircana. Deh placatevi meco.
Kiskia.   Sarai mio?
Ircana.   Non si può...
Kiskia. Se non puoi, menzognero, so io quel che farò.
(Appena l’ho veduto, mi sono innamorata), da sè
Vedrai quel che sa fare femmina disprezzata, parte

SCENA IX.

Ircana, poi Bulganzar.

Ircana. Ma quando avrà la sorte finito il suo rigore?

AI pari dello sdegno mi è funesto l’amore.
Ah per amor spietato, misera, ognor penai.
Ed or l’empio vuol farmi più infelice che mai.