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390 ATTO QUINTO
Render suol ciechi un cieco i suoi tristi seguaci;

Ed avvilisce i forti, e fa i più vili audaci.
Odo venir. Chi fia? Donne son. Non isvelo
Tra le femmine Ircana. Fra le piante mi celo. (si ritira

SCENA II.

Zulmira e Kiskia.

Zulmira. Kiskia, entrambe siam ree, dissimularlo è vano:

io tremo dello sposo, tu tremi del germano.
Se a lui le follie nostre vengono disvelate,
Punite ci vedremo, o almen mortificate.
Dunque pensar dobbiamo...
Kiskia.   Dite di più, cognata.
Se voi scoperta siete, sarete castigata,
Per l’attentato fiero di dare altrui la morte,
Dal giudice che rende giustizia in queste porte.
Zulmira. Giudice degli Armeni sai ch’è un Armeno, e a sorte
È quel che or siede in Julfa, cugin di mio consorte.
Kiskia. È ver, ma si conservano gli Armeni un tale impero.
Coi nazionali usando un rigor più severo.
Dubito di vedervi perir, cognata mia.
Zulmira. Perirei, se ciò fosse, di Kiskia in compagnia.
Kiskia. Io non tentai di vita privar la sventurata.
Zulmira. Meco nel fatal loco foste voi pur trovata.
Kiskia. Ma perchè? Per amore; non so negarlo, è vero.
Zulmira. Amor, quand’è schernito, odio diventa, e fiero.
Kiskia. Io non l’odiai, non ebbi animo di vendetta.
Zulmira. Foste veduta meco fra quell’ombre ristretta.
Kiskia. Nel farmi rea con voi qual pro sperar potete?
Zulmira. O con voi sarò salva, o meco perirete.
Kiskia. Salvi entrambe la sorte; a voi mal non desio.
Tutto quel che far posso, farò dal canto mio.
Di me non dubitate, son donna, e sono umana;