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400 ATTO QUINTO

SCENA ULTIMA.

Zulmira, Kiskia e detti.

Zulmira. (Vediam, se mantenuta ci ha la fede costei). da sè

Demetrio ritornato s’asconde agli occhi miei?
Perchè, siccome ha in uso, entrando in queste porte,
A consolar non viene la misera consorte?
Demetrio. Grave affar mi trattenne; con pena ho ritardato.
Kiskia. (Parmi sereno in viso, non averà parlato). da sè
Demetrio. Lodo l’amor che v’arde per me, sposa, nel petto;
Ma se condur dovessi schiavi ancor nel mio tetto...
Ircana. Signor, chiedo perdono. Perchè rimproverarla?
Perchè senza ragione voler mortificarla?
O mi conobbe, e furo scherzi gli affetti suoi,
O se ingannar si fece, la colpa è sol di voi.
Non si presenta a donne di tal costume austero
Uomo giovane, vago, siasi mentito o vero.
Kiskia. Così diceva anch’io, è troppa crudeltà
Ingannar una vedova, ch’è ancor di fresca età.
Zulmira. Chiedo perdon, se avessi... Tanto dolente io sono,
Che non so di quai colpe, signor, chieda perdono.
Ma di qualunque fallo abbia tentato ardita.
Giuro a voi, giuro ai Numi, sono di cor pentita.
Ircana. Signor, la vostra sposa è virtuosa, è umana.
Zulmira. Signor, è di virtude specchio verace Ircana.
Ircana. Fedele è il suo costume.
Zulmira.   Il suo parlar consola.
Kiskia. (Tutte due bravamente mantengon la parola). da sè
Ircana. Eccomi, amiche, alfine, eccomi in altro stato.
Libera da’ miei lacci, e collo sposo allato.
Questo che voi vedete, mi donò il core un dì;
Indi con altra donna meco il suo cor partì.
Soffriri diviso il core negai dell’idol mio.
Ora è tutto d’Ircana, tutta di lui son io.