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456 ATTO TERZO

SCENA VIII.

Scacch Bey con gente armata, e detti.

Scacch Bey.   Amici, l’empio s’arresti, o cada.

Cedere, Osman, tu devi o la vita, o la spada.
Fatima. Oh stelle! oh padre mio!
Osmano.   Perfidissimo fato!
Empia, sarai contenta. Il padre è disarmato.
Cruda, se tu non eri, l’indegno avrei ferito.
Lo stuol de’ fuggittivi avrei fors’anche unito;
Nè mi vedrei costretto, pien di rossori e pene,
Andar senza difesa incontro alle catene.
Machmut. Opra è del Ciel codesta, stanco de’ tuoi furori.
Vanne, superbo, e fremi; va alla tua pena, e mori.
Fatima. Come! a morir mio padre? Tu lo puoi dir, spietato,
In faccia di colei che ha il viver tuo serbato?
Pensa che se tua figlia farmi l’amor procura,
Del valoroso Osmano figlia mi feo 1 natura.
E non sperar vedermi unqua cessar dal pianto,
Se non ritorna il padre alla sua figlia accanto.
(a Machmut
Osmano. Pria di più viver teco, voglio morire, ingrata
Figlia, che per mio danno, per mio rossor sei nata.
Bey, faccia la sorte il peggio che può farmi:
Più della morte istessa costei può spaventarmi.
Perfida, a pro degli empi il tuo bel core impegna.
Muoia chi ti diè vita.
Fatima.   No, genitore...
Osmano.   Indegna!
(parte, seguito da Scacch Bey e Soldati

  1. Savioli, Zatta ecc.: .