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486 ATTO QUINTO
Non mi negar tal dono; sì, conseguirlo io spero.

Alì. Tamas, non sarà mai..
Machmut.   Taci, non si confonda
Col tuo dritto il mio dritto. La mia ragion risponda.
ad Alì
Figlio, abbastanza ardisti finor nel patrio tetto
Seguir le leggi indegne d’un sregolato affetto.
Tu m’insultasti, ingrato, ti perdonai gl’insulti,
Teco provai gli effetti della natura occulti;
Ma la pietà soverchia colla viltà confina;
Chi feo la tua fortuna, può far la tua rovina.
Fra i due previsti mali, perfido figlio, il veggio,
Per mio rossor tu scegli, per tua sventura, il peggio.
Male per te se parti, male per me se resti;
Ma fra gli estremi il senno mezzi ritrova onesti.
Chi è che il restar con noi rende a te periglioso?
Chi è che da noi lontano promette il tuo riposo?
Una superba donna, in cui d’amore il frutto
A te sarà funesto, e indomito per tutto.
No, non comanda Ircana di Machmut nel tetto,
No, Tamas non isperi partirsi a mio dispetto.
Se la tua sposa altera cova nel sen lo sdegno,
Vada a sfogarsi altrove, cuor di pietade indegno.
A te l’albergo istesso, che ti ho, padrone, offerto,
Per pena a’ tuoi deliri, in carcere converto.
Vivo non uscirai, crudel, da queste mura:
Qui il genitore offeso ti arresta e ti assicura;
Vivi qual schiavo abbietto, se comandar ricusi,
Soffri il rigor del padre, se dell’amore abusi.
E la spietata Ircana, femmina indegna e prava,
Resti di sposa in vece, qual mia nemica e schiava.
Alì non mi risponda, Tamas o mi ami, o tema,
Fatima non mi sdegni, veggala Ircana, e frema.
(Tamas ed Alì abbassano il capo in segno di riverenza, e tacciono, nel mentre che Machmut passeggia sdegnato.