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Tamas e la città di Ispaan. se ne ritorna vittoriosa di tutti, dopo aver impugnato la spada contro di Osmano. Non dico già che l’arte ne guadagni, ma sulla scena si ravvisa maggior movimento, il dramma si delinea, seanche goffamente; e Ircana può riprendere quel suo carattere sdegnoso e pseudo-eroico, ch’era tanto piaciuto nel 53 agli ammiratori di Caterina Bresciani (C. Musatti, Marzocco, 14 ag. e 24 Nov. 1923). Vi ha dunque maggior effetto teatrale, benché di cattivo gusto: vi ha, in parte almeno, quel serio e severo, quel tenero e appassionato che ancora nel secolo 19° piaceva a qualcuno (per es. al vecchio Fr. Salfi: v. Ristretto della storia della letter. ital., Firenze, 1848, p. 334).

Certamente il Goldoni fece qui prova di tutta la sua mirabile abilità ed esperienza di scrittore drammatico; e non dobbiamo meravigliarci se riuscì ad ottenere un grande trionfo ai suoi tempi. Qui il dramma sorge spontaneo per lo sdegno di Machmut contro il figlio ribelle e contro la seduttrice Ircana, per il furore di Osmano dopo il ripudio della figlia, e infine per la gelosia e l’energia di Ircana che non soffre nemmeno l’ombra della rivale, e vuole piena vittoria su Fatima e su tutti. Questa terribile Ircana che ha nella prima tragedia un atteggiamento odioso verso la dolce Fatima, e quasi dissennato, finisce per conquistare il nostro animo. Sembra che il Goldoni la veda a mano a mano più chiaramente e le infonda un attimo di vita: nata in Oriente, essa si ribella al mondo orientale e al Settecento. Ha nel sangue la passione selvaggia, un’indomita ostinazione ed audacia, e però esige l’assoluto impero del cuore di Tamas, nemica d’ogni debolezza, d’ogni ipocrisia e d’ogni finzione sociale.

Io sospirar non posso, non son vile a tal segno.
Di lagrimare in vece accendomi di sdegno.

Peccato che a creare artisticamente questa figura di donna sia venuta meno al Goldoni la poesia: non dico soltanto l’arte del vero, il colore, le immagini poetiche, ma il vero sentimento poetico e l’espressione stessa, sì che a leggere tutta intera la trilogia persiana ci sembra di traversare la sabbia del deserto. Ma altra cosa era per il pubblico del Settecento. Se nella prima parte di questa trilogia tragicomica Ircana si avventa col pugnale contro di Tamas e nella seconda “collo stile alla mano fa fuggire” uno dei custodi del giardino, in quest’ultima combatte accanto allo sposo contro i soldati d’Osmano; anzi rianima il coraggio di Tamas (povero Filippetto trasportato sulle rive del Tigri) gridando con rimbombo frugoniano di settenari:

Dammi una spada. Io stessa di cento spade a fronte,
T’insegnerò la via di vendicar nostr’onte.

Ella non ha paura della morte:

O vincere o morire mi alletta e mi consola,
O vieni a pugnar meco, o vado a morir sola

. Tutto il teatro scrosciava di applausi olla voce calda e canora di Caterina Bresciani; e ogni spettatore ripeteva in coro con Tamas:

No, non morrai da sola, donna sublime e forte,
A vincer verrò teco, o teco incontro a morte.

Non è qui il caso di parlare delle donne guerriere o militari nel romanzo italiano e francese del Seicento e del Settecento. Anche nel Giustino goldoniano abbiamo visto l’imperatrice Arianna in abito soldatesco. Maggior curiosità avremmo di sapere se il carattere di Ircana corrispondesse veramente a