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L’AUTORE
A CHI LEGGE1.
UESTA, Lettor carissimo, che or leggerai è una Commedia, o piuttosto una Tragicommedia, che a taluno sembrerà ardita. Ella è tale, il confesso, avendo io voluto, ad imitazione de’ più felici Scrittori, far parlar la natura col semplice suo linguaggio, senza gli aiuti delle cognizioni acquistate. Scorgesi in essa interessata moltissimo la Religione, e ho spinto il coraggio fin dove me lo ha permesso il rigoroso divieto di framischiare le cose sacre colle profane.! Selvaggi, non istruiti che dalla sola natura, confessano una Divinità superiore; non hanno la felicità di conoscerla; la cercano per istinto, e la ragione illuminata s’arrende.
Questa è una parte della Rappresentazione, senza di cui si sosterrebbe l’azion principale, ma ho voluto, ciò non ostante, farne parola, per render pubblico il mio pensiere, che à di spargere, quando posso, qualche buon seme di verità, fra l’onesto e piacevole trattenimento.
Nulla dirò intorno al soggetto e alla condotta dell’opera, lasciandoti in libertà di pensarne qual più ti sembra che meriti. Accennerò soltanto, che mi riescì felicemente sulle Scene quando l’esposi, e che egual fortuna desidero or che coi torchi l’espongo.
Parmi di aver rilevato, che alcuno tacciata abbia di un poco troppo eloquente Delmira, considerata nel puro grado di una Selvaggia; ma se si esamina quant’ella dice, si vedrà che non eccede i principi di una naturale Filosofia, insita da Dio stesso ne’ petti umani, e coltivata dalla ragione anche fra le più
- ↑ Questa prefazìone la stampata la prima volta in testa alla Bella Selvaggia nel t. VII (1761) dell’ed. Pittori di Venezia.