Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/208

Da Wikisource.
204 ATTO SECONDO
Se la stirpe maschil! si piange estinta,

Forte ragion d’Aiicarnasso al trono.
Non desìo di regnar, non reo consiglio
De’ tuoi vassalli che sospetti infidi,
Non insidia coperta a te mi guida.
Ti amo, Artemisia, dell’amor ti chiedo
Giusta, onesta mercè. Se amor ricusi,
Non intend’io violentar gli affetti.
Ma invan pretendi che ad Eumene io porga
La destra mia, nè che accettare io degni
Da altra man che la tua di Caria il trono.
Eumene. Odi, regina, a qual villan disprezzo
È del nostro buon re la suora esposta? (ad Artemisia
Artemisia. Chi sei tu che pretendi in questo regno (si alza
Qual sovrano dispor? Chi delle leggi
Della mia patria interprete ti ha reso?
Non v’ha dritto la Persia, e non escluse
Son le regie donzelle. O ti ricusi,
O ti accetti Artemisia, ella è sovrana
E di Caria e di sè. D’Eumene il regno,
(scende dal trono
Sia per legge o per don, le sue ragioni
Troverà chi difenda, e tu, superbo,
A rispettar le principesse impara.
(parte con le Guardie e Grandi del regno

SCENA V.

Eumene, Farnabaze, Clorideo, Pisistrato, Lisimaco, seguito di Farnabaze,
e Euriso in disparte, come sopra.

Lisimaco. Di un cuor soggetto a variar gli affetti

Non dispero la resa. In lei lo sdegno (a Farnabaze
Superato ha il dolor, ceder potrebbe
A nuova fiamma l’invecchiato amore.