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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/302

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298 ATTO TERZO
Non lascierò per sovvenirti, ad onta

Anco de’ sdegni tuoi. Converti pure
In insulti al tuo grado i studi miei,
Le mie cure, i miei doni; andrai pertanto
Dall’obbligarti e dal rossore esente,
E la prima sarò ch’abbia al dispetto
Sparsi i suoi benefizi, e merti in cambio
Di sincera amistà rimbrotti ed onte.
Selene. Di sì strana virtù ravviso il fondo.
Promette il labbro, e l’imo cuor minaccia.
Lavinia. Tu nol vedi il mio cuor. Provalo, e osserva
Se dal labbro è discorde.
Selene.   Io non mi espongo
Agl’insulti per prova.
Lavinia.   Il tempo aspetta.
Giudice sia di veritade il tempo.
Selene. Non isperar che invendicata io viva.
Lavinia. Contro chi vuoi vendetta?
Selene.   I miei disegni
Tenti invan prevenir.
Lavinia.   Se le tue mire
Tendono all’onor tuo, m’avrai compagna
In qualunque cimento.
Selene.   Eh, di’ piuttosto
Che tu sarai co’ miei nemici in lega.
Lavinia. Ma quai son tuoi nemici?
Selene.   Enea, tu stessa.
Lavinia. Io nemica a Selene?
Selene.   Invan t’infingi.
Ti conosco; lo so. Ma di te pure
Men nemica non sono, e non procuro
Sotto il manto d’amor coprir lo sdegno.
Lavinia. L’ira tua non m’offende. Io compatisco,
Ovunque io vegga di natura i mali.
Colpa non hai del tuo furor; sei spinta