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LA BELLA GIORGIANA 453
Che col nome di schiava abborro il peso

Delle giuste catene. Odiami, o Sire,
Odiami; n’hai ragion. Ma no, capace
Non è d’odio il tuo cor. La tua bontade
Compatirmi saprà; veggo il bel labbro
Pronto a dir: ti perdono; e mi lusingo
Molto più ch’io non merto. Ah! Sire, ah! Nume
Della Giorgia e di me, pietade imploro.
Dadian. (Chi resister potrebbe al fiero incanto?)
Tamar. (Un misto ragionar confuso ad arte
L’inimico in più parti assalir puote).
Dadian. Da’ tuoi detti comprendo esser tu degna
Di fortuna miglior. Così non fosse
Superbo il padre tuo, che tua mercede
Sperar grazia potria.
Tamar.   Signor, perdona;
Tu condanni di laudi il falso suono,
E lodi me? Che giudicarne io deggio?
Dadian. Giudico ch’io conosco i ricchi pregi,
Onde adorna tu sei. Giudica pure
Ch’io non sono inumano, e che del pari
Il dolce labbro e il tuo bel volto ammiro.
Tamar. O me felice! se sperar potessi
Del tuo ciglio real pietoso un guardo.
Dadian. Tamar, tu sei del tuo destin mal paga.
Tamar. Sia orgoglio o sia virtù, signor, confesso
Schiettamente il mio cor. Lo soffro a forza.
Dadian. Tornar vorresti al genitore?
Tamar.   Oh stelle!
Che risponder degg’io? Mio Re, lo veggo,
Dovrei gettarmi a’ piedi tuoi, soltanto
Pel desio di tornar del padre in braccio.
Ma a qual pro, sventurata? A viver sempre
Misera qual io nacqui, in mezzo all’armi,
Fra le ingorde rapine ed i scorretti