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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1928, XXVI.djvu/106

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Giacinto. Servo di lor signori. Se non fallo,

È il signor Triticon vossignoria?
Triticone. Sì signor, per servirla.
Giacinto. In speciaria
Un ordine trovai
Per venir in sua casa, ed io volai.
Triticone. Lei è il medico dunque?
Giacinto. Appunto quello.
Triticone. La ragazza si sente un po’ di male,
Ma spero anderà in nulla.
Giacinto. Sarà il solito mal d’una fanciulla.
Dove si trova? è questa?
Triticone. Signor sì.
Giacinto. (Quest’è appunto colei che mi ferì).
Riverente m’inchino.
Rosalba. Io gli son serva.
Giacinto. (Ella tien gli occhi bassi, e non m’osserva).
Triticone. Sentite il polso suo. Sembra alterato?
Giacinto. Signor, se non vi è grave,
Ritiratevi un poco, e date campo,
Ch’io possa interrogar con libertà
La fanciulla. Sapete come va.
Triticone. Dite ben, mi ritiro.
Giacinto. Signora mia, mi favorisca il braccio.
(Ahi, ch’ha 1 un braccio di neve, ardo ed agghiaccio).

Cara mano, mano vaga,
     Che risana allor ch’impiaga,
     Io vi miro,
     E poi sospiro;
     Vi potessi almen baciar!
Se la sorte non m’inganna,
     Da voi spero la mia pace;
     D’Imeneo la bella face.

  1. È stampato: ch’à. Forse è da leggersi: Ahi, ch’ a un braccio di neve ecc.