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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1928, XXVI.djvu/186

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184 PARTE SECONDA
Le sue maniere, il suo parlare...

Melinda.   E poi
Così l’abbandonaste?
Ranocchio. Mi volea avvelenar.
Melinda.   Forte ragione
Violentata l’avrà.
Ranocchio.   No, v’ingannate.
Melinda. Vostro è l’inganno.
Ranocchio.   Oibò.
Melinda.   Dunque ascoltate:
Alla riva del fiume, ove più schiette 1
Corron l’acque tranquille,
Vezzeggiando coi luzzi e con l’anguille,
Oggi appunto s’udì
L’infelice Melinda a dir così:
Dolce Ranocchio mio, qual pan di zucchero,
Cor mio, fegato mio, mie care viscere,
Morirò senza te! Già il cor mi palpita,
Sento che dal dolor mi viene il vomito,
Almen queste mie lagrime
La colpa scancellassero,
Che ti rese ver me qual can tricerbero.
Ranocchio. Ahi mi viene il mio mal! non più, tacete.
Che sudor! che tremor!
Melinda.   (Vien nella rete).
Indi così dicea: Se Giove, o Venere,
Mi facesse rimettere
Nella grazia del mio Ranocchio amabile,
Sarei obbedientissima,
E fedel gli sarei più di Proserpina.
Ranocchio. Morirò, creperò, se seguitate.
Melinda. Or quest’ultime sue voci ascoltate.
  Ranocchio mio bellissimo,

  1. Così Zatta. Nella prima stampa: chette.