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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1929, XXVII.djvu/151

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LA CONTESSINA 143
Pancrazio. Da questo matrimonio,

In cui felicità non manca alcuna,
Vedrem ripartorita la fortuna.
Contessina. Nobilissimo mio suocero amato,
Ditemi in cortesia,
Come ben vi trattò sì lungo viaggio?
Pancrazio. Io venni a mio bell’agio.
Stavo in una carrozza
In cui v’era il mio letto,
La poltrona, la tavola, il scrittorio1,
La credenza, il cammin, la tavoletta,
E con rispetto ancora la seggetta.
Contessina. Era un bel carrozzone!
Pancrazio.   Era tirato,
Sappia, signora mia,
Da sessanta cavalli d’Ungheria.
Contessina. Come fece a passar per tante strade,
Anguste e disastrose?
Pancrazio. Ho fatto delle cose prodigiose.
A forza d’acquavite ho rotto i monti,
Ho fatto far dei ponti;
E gli alberi tagliati, io non v’inganno,
Potrian scaldar cento famiglie un anno.
Contessina. Gran cose in verità!
Pancrazio.   Tutto s’ottiene
A forza di denaro.
Io non son uomo avaro:
Per farmi voler ben dalle persone,
Ogn’anno getterò più d’un milione.
Contessina. (Egli è ricco sfondato). Ecco, mirate ’
Il marchesin che arriva.
Pancrazio.   Egli d’Europa
È il cavalier più ricco, e non lo passa,

  1. Zatta: e scrittojo.