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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1929, XXVII.djvu/349

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L'ARCADIA IN BRENTA 341
Laura.   Ora la servo.

Fabrizio. Sienteme, peccerella,
Vienence ancora tuie,
Che ance devertarimmo fra de nuie.
Laura. Sì, sì, questa è l’usanza;
Se i padroni fra lor fanno l’amore,
Fa l’amor con la serva il servitore.
  Il padron con la padrona
  Fa l’amor con nobiltà:
  Noi andiamo più alla bona
  Senza tanta civiltà.
  Dicon quelli: idolo mio,
  Peno, moro, smanio, oh Dio!
  Noi diciam senz’altre pene:
  Mi vuoi ben? ti voglio bene;
  E facciamo presto presto
  Tutto quel che s’ha da far.
  Dicon lor, ch’è un gran tormento
  Quell’amor che accende il core;
  Diciam noi, ch’è un gran contento
  Quel che al cor ci reca amore.
  Ma il divario da che viene?
  Perchè han quei mille riguardi:
  Penan molto, e parlan tardi.
  Noi diciam quel che conviene
  Senza tanto sospirar.
(si ritira fingendo chiamar Diana
Conte. Ti piace, Pulcinella?
Fabrizio. A chi non piaceressi, o Menarella?
Conte. Ecco viene quel bel che m’innamora.
Fabrizio. Con essa viene Menerella ancora.
(vengono Lindora e Lauretta
Conte. Venite, idolo mio.
Venite per pietà.
Lindora. Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.