Laura. Ora la servo.
Fabrizio. Sienteme, peccerella,
Vienence ancora tuie,
Che ance devertarimmo fra de nuie.
Laura. Sì, sì, questa è l’usanza;
Se i padroni fra lor fanno l’amore,
Fa l’amor con la serva il servitore.
Il padron con la padrona
Fa l’amor con nobiltà:
Noi andiamo più alla bona
Senza tanta civiltà.
Dicon quelli: idolo mio,
Peno, moro, smanio, oh Dio!
Noi diciam senz’altre pene:
Mi vuoi ben? ti voglio bene;
E facciamo presto presto
Tutto quel che s’ha da far.
Dicon lor, ch’è un gran tormento
Quell’amor che accende il core;
Diciam noi, ch’è un gran contento
Quel che al cor ci reca amore.
Ma il divario da che viene?
Perchè han quei mille riguardi:
Penan molto, e parlan tardi.
Noi diciam quel che conviene
Senza tanto sospirar.
(si ritira fingendo chiamar Diana
Conte. Ti piace, Pulcinella?
Fabrizio. A chi non piaceressi, o Menarella?
Conte. Ecco viene quel bel che m’innamora.
Fabrizio. Con essa viene Menerella ancora.
(vengono Lindora e Lauretta
Conte. Venite, idolo mio.
Venite per pietà.
Lindora. Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.