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della presente ed.). Tuttavia qui non si deride il fanatismo dei versi, come in alcune scene della Forza d’amore del padre Panicelli, musicato dal Galuppi nel 1745; ma piuttosto la smania delle villeggiature, che mandano in rovina certi prodighi, come il buon Fabrizio, e "cagionan spesso”, come osserva Giacinto,

Nella stagion de’ temperati ardori
Impegni, servitù, dolcezza, amori.

L’autore si ricordava certamente del suo Momolo sulla Brenta (v. il Prodigo, nel vol. I) e abbozzava il quadro di future commedie (v. la Castalda, vol. VII; la Cameriera brillante, X; i Malcontenti, XII; la Villeggiatura, XIII; e la famosa trilogia, XIX). L’Arcadia in brenta è uno dei drammi buffi più felici, non ostante i cattivi versi e qualche dialogo insulso: certe caricature fanno ancora ridere, certe scenette rivivono in quella società del Settecento che la satira si diverte senza posa a colpire. Qui la commedia si avvicina alla vita reale senza intruglio di romanzo, senza artificiosi travestimenti, senza tipi convenzionali e stucchevoli, senza inverosimili accidenti: siamo nel mondo goldoniano. Il libretto d’opera si solleva d’un buon tratto, sui modelli precedenti: anche di questa data conviene dunque tener conto.

È inutile voler sapere chi sia Fabrizio: non dobbiamo pensare a S. E. Michele Grimani, o al conte Jacopo Gozzi, padre di Gasparo e di Carlo, oppure al nonno del nostro commediografo: somiglia a tanti, a Venezia e fuori di Venezia, che volevano godere a ogni costo nel secolo della spensieratezza, e pagavano cari i propri piaceri; somiglia al Goldoni stesso in qualche momento, tormentato, come si sa, più di una volta dai debiti. Anche madama Lindora, che viene in scena sostenuta dai due braccieri, e il complimentoso conte Bellezza sono usciti così ridicoli e vivi dal cervello del nostro autore nella gioconda facilità dell’improvvisazione, ma i modelli della caricatura passarono sotto gli sguardi arguti di Carlo Goldoni. Chi non lo vede quel povero Conte mentre cammina goffamente porgendo un braccio a Lindora, ossia a Madama tenerina che lo tira indietro, e l’altro alla vivace Lauretta che lo spinge avanti? La scena degli sternuti, alla fine dell’atto primo, è imitata dal terzo atto della Maestra del Palomba (Nota storica della Scuola moderna), ma dev’essere un lazzo non ignoto alla commedia dell’arte. Di questa, forse per mostrarne la vacuità e il “guazzabuglio buffonesco”, come dice Attilio Momigliano, ci offre il Goldoni una scena alla fine del secondo atto (la riferì il Momigliano; v. Le opere di C. Goldoni, Napoli, 1914, pp. 36-39): specie di “commedia in commedia”, come farà poi nel Teatro comico, un anno dopo. Anche la sc. II del I atto, quella cioè del primo incontro di madama Lindora e del conte Bellezza, riprodusse il Momigliano, apponendovi queste parole:”Qui la caricatura della dama sdolcinata e delicata è un po’ grottesca; ma tutta la scena è abbastanza curiosa come riproduzione drammatica di quell’Arcadia alla quale di solito si bada soltanto nella lirica, mentre la sua parte più vitale e meglio corrispondente alla realtà è rispecchiata dai melodrammi del Metastasio e, in un mondo più borghese, da non poche commedie del Goldoni” (pp. 62-64). Del resto anche questo fortunato drammetto giocoso sfuggì a quasi tutti gli studiosi del teatro goldoniano.