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IL FINTO PRINCIPE 453
Seconderò coi voti

Di te, bell’idol mio, la giusta impresa:
E se da ver che intesa
Sia preghiera divota in ciel dai Numi,
Favoriran clementi
I vostri colpi e i miei sospiri ardenti.
Dorinda. Vado, e fra poco attendi
Per tuo ben, per mia gloria,
O la mia morte, o la comun vittoria.
  Ah non son io che parlo,
  È il mio fraterno amore,
  Che mi divide il core,
  Che delirar mi fa.
Il fier nemico veda
  In man recar la spada,
  E un fulmine la creda,
  E un fulmine sarà 1. (parte

SCENA VII.

Rosmira poi Floro.

Rosmira. Felice lei, che avvezza a trattar l’armi

Può far onta al destin col suo valore!
Ma ohimè! che veggo? Ecco l’odioso oggetto,
Ecco l’odiato amante,
Ecco il mio fier nemico, ecco Ferrante.
Principe, vuò parlarvi
Con il cor sulle labbra.
Floro. Non sarà poco invero
Una donna trovar di cor sincero.

  1. Quest’arietta, ch’è pure nell’ed. Zatta, così si legge nell’atto III, sc. 12, dell’Ezio (1728) di Pietro Metastasio: "Ah, non son io che parlo, — È il barbaro dolore — Che mi divide il core, — Che delirar mi fa. - Non cura il Ciel tiranno — L’affanno — In cui mi vedo: — Un fulmine gli chiedo, — E un fulmine non ha ha".