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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1930, XXIX.djvu/287

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Ritroviamo versi e arie sia di Amor vuol sofferenza, sia della tinta trascatana, ma il testo corre più libero dopo il primo atto, come sempre succede. Anche qui però difetta lo spirito comico. Nell’ultima scena del II atto il Mosca ingelosito canta una canzonetta “in lingua veneziana”:

Belle putte veneziane.
     Saverè per vostra regola
     Che se sposa una pettegola
     E la tiol un babbuin.
Vardè là... Cara culìa
     Voga, premi, stali e scia.
     No ghe penso un bagattin.

Belle putte, via canteghe,
     All’usanza veneziana,
     De so nona nina nana
     Che mi sono el chitarin.

E Lisetta (che corrisponde a Vastarella) così replica:

Belle putte veneziane
     Non savè che sto sbasìo
     Con quel muso incocalio
     EH galante ancuo me fa.
Vardè là sto strupia scóvoli
     Che ha la scorza come i bòvoli.
     Cosa in testa gh’è saltà.

Via, soneghe una furlana,
     Una forca che l’impicca.
     El so diavol che lo scana,
     E mandèlo fin a Stra.

Sono del Goldoni questi versi? Se il nostro autore rimaneggiò il libretto del Federico, dovette farlo nella quaresima, appena finito il Filosofo di campagna, e prima di partire per Modena dove lo colpì la malattia nervosa che per cinque mesi lo costrinse al riposo. Ma nulla possiamo affermare. Solo si sa che i Matti per amore del Cocchi furono replicati a Modena nell’estate del ’55 (con un nuovo titolo. Il Signor Cioè: Gandini, Cronistoria ecc., Modena, 1873, P. I, p. 102), e nel ’64 nel R. Teatro di Berlino (v. Sonneck, l. c., p. 744), ma non ebbero gran fortuna. Leggiamo ancora queste ariette, che sono le cose più originali del libretto: l’una sentimentale e metastasiana di Lelio che si confida con Mosca (a. II, sc. 1):

Dille che peno e l’amo,
     Che cerco amor da lei.

     Che molto dir vorrei,
     Ma il cor tacer mi fa.

L’altra scherzosa, di Ridolfo (a. II, sc. 7):

Non ho flemma, io l’amo tutte,
Siano belle, siano brutte.
Qualche bella mi dispiace.
Qualche brutta assai mi piace.
     Sempre è buono, sempre è bello

     Tutto quel che piace a me.
     Donne belle, donne care.
     Dell’amar, del non amare.
     Questo è il Libro del perchè.

Ecco una del povero Fazio a Lisetta (a. II, se. 16):

Quegl’occhietti piagnolenti
     Fa che io veda un po’ ridenti.
     Non mi far più intenerir.
Ah tu ridi, galeotta.
     Ti conosco, furbacchiotta,

     Ma ti voglio castigar.
Ho burlato... vieni qua,
Bada a me; cioè m’ascolta.
     Ma tu ridi un’altra volta
     E m’hai fatto
già imbrogliar.