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LA CASCINA 503
Lavinia. Se diceste davver...

Conte.   Giuro, mia bella;
Giuro ai dei tutelari
Della mia nobiltà,
Di sì bella beltà sono invaghito;
Sarò, qual mi vorrai... servo e marito 1.
Lavinia. Accetto per finezza
D’un cavalier sì degno
L’amor, la grazia, ed il più forte impegno.
Conte. Giove, tu che presiedi2
All’opere più conte; Amor, che accendi
Fiamme nel nostro petto;
Venere, che sei madre del diletto;
E voi, pianeti, e voi, minute stelle,
Onor del firmamento,
Fate applauso di luce al mio contento.
Lavinia. Bella madre d’Amore,
Venere, anch’io t’invoco,
Pronuba generosa al nostro foco.
Resti l’amante amato
Meco vicino in quest’albergo fido,
Qual Enea ricovrato alla sua Dido.
Conte. Non vi darò, mia bella,
L’ingrato guidernone,
Ch’Enea diede a Didone.
Non vuò che il mondo veda,
Che a un amante rival vi lasci in preda.
Ah, se voi foste Dido,
S’io fossi Enea, se Jarba fosse qui,
A quel moro crudel direi così:
  Vieni, superbo re,
  L’avrai da far con me.
  (Non dubitar, mia vita,

  1. "Sarò, qual mi vorrai, scudiero e scudo”: Gerus. lib., XVI, 50.
  2. Nella stampe del settecento: pressiedi.