Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1930, XXIX.djvu/542

Da Wikisource.
540 ATTO TERZO
Conte.   Incenerita?

Lavinia.   No, sposata.
Conte. Furie del cieco Averno,
Mostri del nero abisso,
Orsi, tigri, leoni,
Della barbarità crudel deposito,
Su, venite, vuò fare uno sproposito.
Dov’è quel moro infido?
Vuò svenarlo sugli occhi alla mia Dido.
Costanzo. (E un bel pazzo costui). (da sè
Conte.   L’empio dov’è?
Fatelo venir qui.
Dov è il moro rivale?
Lavinia.   Eccoli lì. (accenna Costanzo
Conte. Questi! (a Lavinia
Lavinia.   Quello.
Conte.   Egli è il moro!
Lavinia. Quegli è il vostro rivale.
Conte. Questi è un vile bifolco, è uno stivale.
Costanzo. Con rispetto parlate.
Lavinia.   In lui vedete
Un cavalier che mi ama,
Che si è finto pastor per la sua dama.
Conte. Oh valoroso eroe,
Che rinnovar sapeste
La bella un dì peripezia d’Alceste.
Rendavi il Ciel felice,
Qual Demetrio scoperto a Cleonice1.
A un sì tenero amor chi può star saldo?
Tutto a sì bella azion mi passa il caldo.

  1. Alludesi al Demetrio (1731) del Metastasio, creduto Alceste.