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98 | l'altare del passato |
riso beato dolente ricordavano la divina testa di un martire tronca e deposta sopra un corpo non suo, condannata per castigo su quella doppia gibbosità da Rigoletto, chiusa con dignità rassegnata in un’invariabile tunica fratesca. Sul panno bigio, unico contrasto di ricchezza gentilizia, s’avvolgeva come un cilicio, una catena massiccia d’oro antico, costellata di grosse gemme: gioiello di fattura quasi barbara, ereditata da madre in figlia, portata da tutte le bisavole bionde dormenti da secoli nelle cripte dell’Abazia paterna, lassù, nel Devonshire lontano.
Da anni Miss Eleanor svernava in Sicilia, non ritornando alla vasta contea brumosa che a primavera inoltrata. Su quel colle dominante Girgenti, si era spento suo padre, vari anni prima, e la giovinetta deforme si era votata a quel cielo a quel mare sui quali si profilavano, come sopra due zone di cobalto diverse, i più intatti esemplari dell’arte italo-greca: i templi famosi che erano stati la passione e la gloria, forse la morte immatura, dell’archeologo illustre. Lord Quarrell aveva appartenuto a quella schiera d’inglesi devoti e ferventi che unirono le loro fatiche e il loro nome ai più illuminati intenditori italiani, e che fecero della Magna Grecia la loro patria ideale. A Lord Quarrell