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Alcina 103


Ed Eleanor rispose al mio silenzio, subito con voce calma:

— Tutto possibile. Sì, anche questo.


Eravamo nell’atrio, tutto rivestito di capelvenere. Dinanzi m’era lo scenario che godevo da un mese e che mi sembrava di vedere ogni giorno per la prima volta. Il declivio verde di aranci, costellato di frutti d’oro, poi l’azzurro del mare, l’azzurro del cielo; e su quell’orizzonte a tre smalti diversi i più divini modelli che l’arte dorica abbia, col Partenone, tramandato sino a noi. Il Tempio della Concordia, e vicino il Tempio d’Era con la sua fuga di venti colonne erette e di venti colonne abbattute, e oltre il Tempio d’Ercole, ossario spaventoso della barbarie cartaginese: meraviglia ciclopica tale che la nostra fantasia si domanda non come sia stato costrutto, ma come sia stato abbattuto; e oltre ancora il Tempio di Giove Olimpico, il Tempio di Castore e Polluce: tutte le sacre ruine che Agrigento spiega, la fila tra l’azzurro del cielo e del mare: ecatombe di graniti e di marmi che sembra dover ricoprire tutta la terra di colonne mozze o giacenti, di capitelli, di cubi, di lastre, di frantumi divini.

Ma dinanzi a noi era quello che Miss Eleanor chiamava “il mio tempio„, il Tempio di