Pagina:Gozzano - L'altare del passato, 1918.djvu/12

Da Wikisource.
2 l'altare del passato

talità nei giorni di vacanza. Per giungere alla casa del mio amico, si passava attraverso la parte vecchia della città — ora quasi tutta scomparsa —: un labirinto di viuzze buie ed umiducce odoranti di bettola e di conceria, di frutta marcia e di vinaccia, dove il cielo appariva dall’alto come un nastro sottile e tortuoso, fra le mura decrepite dei palazzi nobiliari.

Rivedo il palazzo del mio amico. Un edificio di puro ’600 piemontese; una serie di finestroni immensi; sulle due colonne d’ingresso un gran balcone dalla ringhiera curva con in mezzo l’anagramma in corsivo e la corona comitale, e molte campanule, molte rose, molti garofani che s’attorcevano, straripavano tra i ferri consunti come fresche capigliature.

Era lo studio del conte Fiorenzo e quelli erano i fiori coltivati con le sue mani.

L’atrio e la scala erano a colonne di granito, vasti, cupi, freddi, polverosi. Non c’era portiere. Da portiere fungeva quel povero Mini — il fedelissimo del conte, suo compagno di gioventù, di viaggi, d’avventure — il quale era anche cuoco, domestico, staffiere, mastro, e completava, con una fantesca decrepita come lui, ed un giovinetto avventizio, tutta la servitù della casa.