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14 l'altare del passato


Gli anni mi divisero dal mio amico. Seppi l’esilio di lui, a Parigi, con la madre, passata a seconde nozze.

Lessi poco dopo la morte del conte Fiorenzo.

La mia infanzia si dileguò nel tempo.

Passò, passò quasi vent’anni la cosa fatta di giorni che si chiama la vita. Dimenticai.

Ma ho ripensato al conte Fiorenzo dinanzi alla sua casa distrutta, con la mia cara amica settantacinquenne; una di quelle signore che prediligo, perchè hanno alle spalle un’infinita lontananza di figure, di tempi, di paesi e il loro discorso ha per me il fascino misterioso di una fiaba.

Intelligenza sveglia, dal motto pronto ed arguto, che in una serata aduna intorno alla sua canizie tutti i corteggiatori e li contende alle belle papere ventenni. Anima buona, tuttavia, e sentimentale, che molto ha vissuto, che tutto sa comprendere, tutto perdonare. Forse (molto si favoleggia sulla sua giovinezza remota) forse perchè tutto le sia perdonato.

Il mezzodì era prossimo. Entrammo in una grande confetteria.