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I sandali della Diva 49

limite della zona in ombra, mi protesi tra due balaustri della scala. Di là vedevo, attraverso la grande vetrata aperta, la Baronessa seduta e i due signori alzati, già in atto d’accomiatarsi. L’uomo bruno, dalla barba aguzza, l’altro piccolo e tozzo. Non c’era il signore effigiato sui francobolli e ne fui deluso. Parlavano una lingua aspra e sconosciuta, ma capivo che dovevano dire alla Baronessa cose non liete, perchè la mia amica scuoteva il capo con un sogghigno amaro. Poi ci fu un lungo silenzio, essa si alzò, i due s’inchinarono, uscirono dalla gran porta di fondo che si chiuse lentamente. La Baronessa fu sola in mezzo alla sala, si portò le mani alle tempia con gesto disperato, s’abbandonò ancora sulla poltrona; poi, chinandosi con un gesto di rabbia, si tolse i sandali gridellini, li scagliò l’uno dopo l’altro contro la porta, alle spalle dei due visitatori scomparsi.

Raggiunsi il mio letto con il cuore in tumulto. Quando, pochi minuti dopo, la stanza s’illuminò ed entrarono la Baronessa e la cameriera io fingevo di dormire.

— Signora! Signora, mi dica subito, per carità, la pensione, la pensione?