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e bruno, sorreggeva l’altro piccolo, curvo, un vecchietto dalla nuca biondiccia. Quello bruno si volse, lo riconobbi, andai verso di lui con espansione affettuosa, era Claudio Girelli, il pittore. Guardai il vecchio: non era un vecchio, era un malato.

— Tu lo conosci, il nostro buon Tito Vinadio.

L’infermo mi diede la sinistra attraverso il braccio dell’altro:

— La destl.... la destla non glie la posso dale che così....

E ridendo e piangendo si tolse con la sinistra la mano destra che teneva nella tasca, me la porse inerte, pendula come una cosa non sua. Rideva e piangeva. Ma solo una metà dei muscoli facciali obbediva al riso ed al pianto; l’altra metà del volto restava immobile o si torceva in un rictus asimmetrico che ricordava certe maschere antiche.

— Questo, calo Gilelli, — proseguiva con un sorriso lagrimoso, — mi accompagna all’esposizione, mi accompagna allo stabilimento eletl.... eletl....

— Elettroterapico del prof. Gaudenzi — concluse l’altro — il quale guarirà in pochi giorni il nostro buon Vinadio. È tardi, bisogna andare.