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158 l'impero dei gran mogol

curvo a gancio che preme sulla fronte silenziosa, con un grido sommesso d’intesa. Nessuna bestemmia, nessuna ingiuria come nelle nostre vie occidentali. La mole s’avanza sicura come un congegno e il rumore delle zampe enormi che giunge dal basso imita un poco il rombo ritmico di un motore primitivo. Passiamo per ampie vie modernissime: luce elettrica, tram, automobili; c’interniamo in viuzze tortuose, dalle case altissime in legno dipinto e traforato con uno stile da confettiere, con tutti i colori delle cose dolci, gonfie di miradors, di loggie minuscole; infinite gallerie coperte cavalcano le vie, allacciano l’una all’altra le case misteriose.

La nostra cavalcatura ci mette all’altezza del primo piano e l’occhio gode, d’attimo in attimo, attraverso le verande aperte, le scene più intime e più diverse: una madre che consola un bambino che piange, un ufficio di mercanti parsi, dove cinque scribi in mitra di tela cerata sono seduti a modernissime macchine da scrivere, una casa indù semplice e linda, con non altro alle pareti candide che le incarnazioni di Brama, una casa maomettana a tappeti