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164 l'impero dei gran mogol

verdi dei pappagalli nani, le comuni garrule colorite, che giocano al trapezio tra i santi trafori! File interminabili di scimmie stanno sedute a congresso e volgono la testa tutte insieme al nostro passaggio, seguendoci a lungo, fissandoci con occhi di malinconia desolata.

A tratti s’incontra un Jogi, un santo che ha scelto a suo rifugio una di queste ruine. Tutta l’India abbonda di queste figure singolari; non sono fachiri leggendari, non fanno miracoli; sono asceti, ridotti dalla vita contemplativa allo stato di cose: hanno preso il colore della pietra e dei tronchi morti. Completamente ignudi sotto il sole che arde e che abbacina, con le chiome, il volto impiastricciato di cenere e d’argilla, stanno seduti nella posa nirvanica, più indifferenti e più insensibili degli idoli millenari. La consuetudine religiosa favorisce queste sètte: ognuno ha vicino una ciotola, ricolma ogni giorno dalla pietà popolare. Ne interroghiamo qualcuno, offrendo un frutto, una moneta. Ma non rispondono alle nostre parole, non battono ciglio alla nostra mano protesa, ci lasciano passare senza volgere il capo,