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240 il fiume dei roghi

beata la fiamma che si diparte dalla fiaccola, beata l’anima che abbandona la carne....».

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Passiamo oltre. Il sermone non è per noi. Mai come oggi mi son sentito schiavo della apparenza, innamorato folle di tutto ciò che è forma, colore, ombra, luce: bellezza viva, preda della morte.

La città è interminabile: ancora templi, ancora torri, terrazzi, scalee. Intorno, sul fiume galleggiano infinite le ghirlande votive e le corolle vivaci, i gioielli, i denti, gli occhi abbaglianti, le chiome nere lucenti formano tra il riverbero dell’acqua e lo splendore del sole un musaico a chiazze vive come nelle tele di certi impressionisti. Lo sguardo si stanca. Passiamo in una zona d’ombra riposante, lungo i ghati interminabili. L’acqua lenta orla di bava sordida i cubi di granito decrepito. Un fetore sinistro di fiori maceri, di carne putrefatta, di umidità febbricosa e di pestilenza mi fanno ricordare — con un brivido — che da questo focolaio unico si